Ricordo delle carmelitane di Santa Maria degli Angeli di Pescia

Qual è il “dono divino”, il carisma, largito a un ordine religioso? È la chiamata e la sua definizione, è il motivo per cui è stato fondato. Per i carmelitani fu il raccoglimento e la devozione legata al Monte Carmelo in Palestina “ad esempio e imitazione del santo e solitario uomo Elia, presso la fonte che di Elia porta il nome” (Giacomo di Vitry, cit. dal sito internet dell’Ordine).
Altra loro caratteristica fu (ed è) lo scapolare, formato da due pezzi di stoffa marrone legati con cordicelle da portare al collo, simbolo della protezione di Maria.
Come i carmelitani vissero questi doni divini nel passato, ad esempio nel seicento?
Allora facevano parte di una società oppressa dalla fatica del vivere quotidiano, dal pensiero della precarietà dell’esistenza e dalla memoria di bei tempi lontani e di più vicine guerre. Ma, a quel che si può vedere, celebravano con immutato fervore una liturgia dedicata alla meditazione e al culto a Maria con i modi più comuni: feste e ricorrenze solenni, orazioni dedicate, digiuni e vigilie di preparazione, suffragi ...

Per saperne di più, leggiamo un foglio manoscritto, alquanto lacero, rilegato con altri in una filza già dei padri Carmelitani di Pisa, ora all’Archivio di Stato della stessa città.
Riguarda le suore della chiesa e convento di Santa Maria degli Angeli, detto ‘volgarmente’ il Carmine, di Pescia, soppresso con altri dopo il 1785, per volontà del granduca giansenista Pietro Leopoldo, e ora scomparso.
Il foglio ha la data del 5 novembre 1634; è la piccola dimostrazione di un periodo d’oro nella Chiesa quando i suoi uomini riscoprirono per l’ennesima volta l’utilità spirituale e materiale degli ordini religiosi ...
Inizia con:

“Pateat qualit., essendo che alli mesi passati l’infrascritte reverende fanciulle, existenti sotto l’invocazione di Santa Maria degli Angeli nel terzieri, come si dice, della prepositura nella terra di Pescia di nissuna diocesi [non dipendente da alcuna diocesi], provincia di Firenze, habbino supplicato al reverendissimo padre fra Teodoro Stratii [Strazio, San Giuliano di Cremona 1567-† Piperno 1642] maestro e priore generale di tutto l’ordine carmelitano, che si degnassi conceder loro l’habito monacale di detto ordine, e sua paternità reverendissima, volendo satisfare a questo lor pio desiderio sotto lì 23 settembre proximo passato 1634, scrivessi lettere, et patenti dirette al molto reverendo padre Gioseffe Bonetti sacerdote professo del medesimo ordine, che cominciano ‘fr. Theodorus Stratius magister prior generalis ordinis B. Virginis Genitricis Dei Mariae de Monte Carmelo. Dilecto nobis in Christo reverendi patri Iosepho Boneto’ e finiscono ‘frater Ioannes Antonius Olivatius secretarius ordinis subscripte p. s. reverendissime solitoque signo munit. et roborat.’, dando e concedendo libera facultà a detto padre Gioseffe di vestire le infrascritte reverende fanciulle dell’habito monacale carmelitano, cioè di tunica, scapulare, e cappa bianca con velo, e quelle ricevere per figlie del medesimo ordine e religione facendole partecipe di tutti l’orationi, discipline, vigilie, digiuni, et altri beni spirituali, quali nella medesima si fanno di tempo in tempo, et altro, sì come viene ordinato per dette patenti...”.

Le monache, trasferitesi processionalmente alla collegiata di Santa Maria Maggiore di Pescia, ottenuta la “licentia” da monsignor Giovanni Ricci preposto e ordinario, presenti Pierfrancesco Orsucci cavaliere di Santo Stefano, il dottore Francesco Cecchini e Francesco Luciani di Pescia operai, si erano presentate davanti al padre Giuseppe, che alla loro istanza e per far seguito alle lettere scritte e confirmate dal padre generale, “seguitando il lor pio desiderio”, le vestì dell’abito monacale carmelitano, cioè, tonaca, scapolare e cappa bianca con velo, e le accettò per monache e figlie della religione, concedendo “i privilegi, indulti, preminenze e gratie concesse alle monache della religione predetta, e quelle fece partecipi delle orationi, discipline, vigilie, et altri beni spirituali che si fanno nella religione carmelitana ...”.
Mancava a definire il tutto la “gratia di Nostro Signore”, cioè del papa, ma nell’attesa le suore si sarebbero dovute comportare come tali: seguire gli uffici divini, il rito, il breviario ed esser soggette “al reverendissimo ordinario”, cioè al preposto Ricci, promettendo “inviolabilmente osservare in quel migliore, e più efficace modo, che di ragione, è secondo la dispositione de’ sacri canoni e regola predetta ...”.
L’atto fu scritto dal notaio Giuliano Ceci presso la collegiata suddetta, presenti i testimoni Giovanni Battista Barba cavaliere e Roberto dei Poschi di Pescia capitano.

Questi i “Nomina reverendarum puellarum:
Reverenda soror Maria Angela de Oliva
Reverenda soror Euphrosina de Perrondis
Reverenda soror Helisabeth de Bindis
Reverenda soror Maria Gratia de Spillettis
Reverenda soror Margarita de Pagnis de Uzzano
Reverenda soror Maria Magdalena de Nicolais
Reverenda sororTeresia de Pagnis
Reverenda soror Putentiana de Benignis
Reverenda soror Maria Prudentia de Podio
Reverenda soror Raphaelangela de Cardinis
Reverenda soror Livia Laurentia de Podio
Reverenda soror Caterina Angela de Georgiis
Reverenda soror Maria Ludovica de Orlandis
Reverenda soror Maria Electa de Sanctarellis
Reverenda soror Caterina de Sanctinis
Reverenda soror Euphrasia de Lorenzinis
Reverenda soror Teodora de Lorenzinis
[Seguono le converse]
Soror Lucia de (***)
Soror Maria Anna de Ciutis
Soror Maria de Vezzanis
Soror Iohanna de Bachechis
Soror Marta de (***) et
Soror Alberta de Taddeis”.

L’approvazione di Urbano VIII si fece aspettare due anni.
Si trova riportata in un bel documento del 1638 rilegato in forma di codice, nel quale si ricorda il conferimento dell’incarico al preposto di erigere un monastero di stretta clausura sotto la regola di Santa Maria del Monte Carmelo, con annesso educandato, con refettorio, dormitorio, celle, orti, officine interne e esterne, con chiesa e cappellano per celebrare la messa e impartire i sacramenti della penitenza e dell’eucarestia.
Le suore già il 16 aprile 1626 avevano avuto il permesso pontificio di aprire le finestre nell'interno della chiesa con doppie grate di ferro. Potevano inoltre essere ammesse in numero massimo di ventisei, diciannove “vocali” e sette converse; il loro reddito sarebbe stato di circa di 320 scudi più l’elemosina e la carità e in aggiunta di altri 300 di industria e lavoro compiuto “honestie”.
Si concedeva, oltre al godimento di tutti i benefici spirituali dell'Ordine, compresi i suffragi, l'indulgenza plenaria per le monache presenti e per quelle future al momento della loro professione e della morte.

Paola Ircani Menichini, 7 marzo 2024.
Tutti i diritti riservati.




L'articolo
in «pdf»